La storia delle riviste di videogiochi


di Andrea Pachetti

[Nota del 14/05/2016: Questi tre articoli risalgono ormai a un'epoca molto lontana, si tratta quasi di dieci anni fa. Al tempo mi era stato chiesto dall'editore Hobbymedia di tracciare una storia sommaria delle riviste di videogiochi, con un linguaggio immediato e un tono vagamente nostalgico: rileggendoli, credo di aver assolto a questo compito.

Ho deciso di unire le tre parti in questo nuovo documento, da usarsi esclusivamente come riferimento storico. La tentazione di scrivere tutto da capo è sempre stata forte, dato che adesso l'approccio sarebbe completamente diverso; ritengo però che ancora oggi il testo possa avere una certa rilevanza, principalmente per la correttezza delle informazioni che contiene. Considerando il periodo nel quale era stato elaborato, fu necessario un lavoro di ricerca sulle riviste d'epoca, recuperate a fatica esclusivamente in cartaceo. Questo "nuovo" pezzo, nella sua forma definitiva, diviene dunque l'ideale articolo "numero zero" della sezione Approfondimenti del sito.]

Parte 1: Video Giochi


Editore: Gruppo Editoriale Jackson


Bisogna fare ormai un grosso sforzo per ricordarsi un tempo in cui la rete Internet non esisteva così come la conosciamo ora, e persino la posta elettronica era utilizzata quasi esclusivamente nelle comunicazioni tra studiosi "in camice bianco". Pensando agli anni '80, per avere notizie sui videogiochi le riviste cartacee erano l'unica fonte d'informazione aggiornata: questo e gli articoli che seguiranno vogliono essere un piccolo omaggio a quel momento della storia videoludica in Italia, senza ovviamente nessuna pretesa di completezza.

Come tutte le storie che si rispettino, anche questa per essere narrata efficacemente va iniziata dal principio, cioè dalla prima rivista italiana ad avere i videogiochi come argomento centrale; è al Gruppo Editoriale Jackson, in quegli anni protagonista del mercato dell'editoria informatica, che si deve la nascita di "Videogiochi" (o meglio, Video Giochi, riferendoci al logo originale).

La redazione era formata dal nucleo storico dello Studio Vit guidato da Riccardo Albini, che lascerà nel corso degli anni una traccia indelebile in questo mercato creando alcune delle riviste più importanti dal punto di vista storico, cioè Zzap!, K e Zeta. Ovviamente non si trattava di un esperimento casuale creato dal nulla: l'ispirazione principale furono senz'altro le riviste-contenitore americane come la storica "Electronic Games", ma questo evento rappresentò comunque una ventata di novità nelle edicole.

Per la prima volta nel nostro paese si creò un movimento spontaneo di club di appassionati, quasi tutti in tenera età, che sommergevano letteralmente la redazione di coloratissime lettere, disegni e fumetti. "Il posto della posta", così si chiamava la rubrica apposita, era sempre un tripudio di domande curiose che oggi farebbero sorridere ("Cosa compro tra Atari e Intellivision?", "Quanti colori ha il Coleco?"), ma che dimostravano senz'altro la voglia di imparare a conoscere un mondo allora nuovo e affascinante.

Il sommario tipico di un numero di Video Giochi presentava una struttura che diventerà un classico valido fino ai giorni nostri, con la divisione tra news e notizie varie (la sezione "Ready") e recensioni vere e proprie, sia per console ("A che gioco giochiamo?") che per gli home computer ("Di fronte al fatto computer"). Maurizio "IUR" Miccoli, esperto videogiocatore e recordman, si occupava di dettagliatissime descrizioni dei coin-op ("Al Bar") ed erano dedicati degli spazi anche ai flipper e ai giochi portatili a cristalli liquidi, completando così la panoramica di quanto poteva offrire il mercato in quel momento.

Era un periodo particolare e frenetico, con software house e nuove console che uscivano praticamente ogni mese, molte delle quali risultarono delle vere e proprie meteore. In una situazione simile avere una guida per gli acquisti era importantissimo e Video Giochi assolveva anche questo compito in modo esemplare, con listini approfonditi di ogni singolo marchio importato in Italia.

I lettori erano coinvolti direttamente anche nella realizzazione dei record, da immortalare per i posteri mediante una fotografia: uno spazio piuttosto consistente fu dunque dato alle video-gare, sia sulle console da casa sia nelle sfide da sale giochi. Tutti venivano invogliati ad ottenere il punteggio migliore in classifica, grazie anche all'incentivo di un abbonamento gratuito se il record resisteva abbastanza. Questo movimento poi sfociò nella creazione della storica AIVA, l'Associazione Italiana Video Atleti, che si proponeva di formare veri e propri giocatori professionisti, capaci di rivaleggiare con gli assi statunitensi del joystick.

Il successo della rivista fu tale da generare presto la voglia di separare gli argomenti trattati, così nacque uno spin-off chiamato "Home Computer" (HC) della durata di quindici numeri, che andava a occuparsi dell'informatica più "seria", lasciando alla rivista madre le recensioni prettamente ludiche.

Nel 1984-85 i riflessi del crash dell'industria statunitense si fecero sentire anche in Italia e le tre console più vendute del periodo, Atari VCS, Intellivision e Colecovision vennero purtroppo dimenticate quasi subito dagli appassionati, attratti dalla maggiore espandibilità dei piccoli-grandi computer e dal minor prezzo dei loro supporti (audiocassette e floppy disk).

Il gruppo Jackson cercò quindi di rinforzare la propria rivista principale facendo confluire in essa l'argomento computer: chiuse HC e chiamò la nuova incarnazione "Videogiochi & Computer", a partire dal numero 29. Purtroppo la parabola discendente era ormai inevitabile e l'avventura si concluse con il 37 del settembre 1986. Le successive versioni di "Video Giochi", tra le quali vale la pena ricordare la curiosa edizione "poster" in formato A3, ebbero una vita editoriale piuttosto breve e non seppero imporsi sul mercato. Lo Studio Vit nel frattempo aveva già spostato i suoi interessi verso una rivista inglese di grande successo, chiamata Zzap!64...

NOTA: l'articolo è stato pubblicato originariamente sul n.2 di Gamers, edizioni Hobbymedia. I diritti sul testo appartengono esclusivamente al sottoscritto, per cui qualunque uso è soggetto alla licenza Creative Commons riportata in calce al blog.

Parte 2: Zzap!


Editore: Edizioni Hobby/Xenia


Quattro lettere onomatopeiche (e un punto esclamativo) unite in un lampo che squarcia il buio, per incarnare il desiderio diffuso in gran parte dei giovani legati all'epoca degli otto bit. Un mantra mistico da pronunciare ad libitum al povero edicolante di turno, "Quando esce Zzap? Quando esce?" fino al punto da farlo impazzire.

Se Video Giochi rappresenta senz'altro la fase dell'infanzia della critica videoludica, con le sue rappresentazioni minimali e i mille disegni colorati che la accompagnavano, Zzap! è di sicuro il momento adolescenziale, con la sua ribellione, la vis comica, il linguaggio moderno, la vena sarcastica.

Il primo numero nasce nel maggio 1986 ad opera dello Studio Vit, mutuando il concetto di base e gran parte dei contenuti dall'omonima Zzap!64 edita in Inghilterra dall'editore Newsfield. Pur partendo semplicemente come "edizione italiana della rivista inglese più venduta", sin dall'inizio matura una sua autonomia nei temi, tendendo a mostrare un panorama completo dei giochi usciti per tutti gli home computer esistenti, piuttosto che limitarsi al Commodore 64.

In Inghilterra la Newsfield aveva diverse riviste monotematiche, Crash dedicata allo Spectrum, Zzap!64 dedicata appunto al C64, Amtix all'Amstrad CPC, mentre lo Zzap! italiano abbraccia da subito una vocazione multipiattaforma che sarà la sua forza principale. Sulle sue pagine saranno presentati anche i primi giochi per i nuovi mostri a sedici bit, almeno fino a quando otterranno una rivista interamente dedicata a loro, The Games Machine; questa scelta legherà indissolubilmente il destino di Zzap! a quello di C64 e soci, seguendone la parabola di gloria e poi l'inevitabile crisi.

Probabilmente il periodo d'oro può essere fatto risalire al 1987-89, quando la produzione di giochi era ai massimi livelli e le Medaglie d'Oro si sprecavano: il tempo di capolavori come Zak McKracken, Impossible Mission 2, Armalyte e mille altri si alternavano nelle pagine, dove nel frattempo lo Studio Vit aveva lasciato il posto a Bonaventura Di Bello e al team che aveva iniziato ad assemblare a partire dal numero 23. Attraverso innumerevoli cambi d'impaginazione e mutazioni redazionali i problemi iniziano ad arrivare nei primi anni '90, momento in cui diviene sempre più difficile trovare contenuti di qualità da recensire per macchine ormai "morenti": si tenta di dare spazio a console tipo il NES e il Gameboy o ad attività collaterali come gli anime giapponesi, ma tutto sembra finire con il numero 73, del Dicembre 1992.

A partire dal mese successivo, anche se Zzap! smette di esistere come entità autonoma, in qualche modo continua ad uscire fagocitata dalla ormai famosa sorella TGM: viene allegato un inserto spillato di 16 pagine (poi solo 8) fino al dicembre dello stesso anno, con il numero 84 che chiude definitivamente questo periodo storico con una laconica scritta Game Over, su copertina interamente nera.

La struttura base di Zzap! prende molte caratteristiche delle esperienze precedenti, ma ha fatto senz'altro scuola sia per quanto riguarda il modo di recensire i videogiochi che per l'atteggiamento generale di chi vi scriveva. Fino ad allora, il redattore era un semplice descrittore di caratteristiche hardware e modalità di gioco, mentre il merito principale dell'idea originale di Julian Rignall e soci era proprio quella di creare dei redattori "superstar", riconoscibili immediatamente grazie ai ritratti che campeggiavano in ogni recensione: con le loro magliette scure e le magiche iniziali bianche impresse a fuoco, diventarono delle vere e proprie icone mostrando di volta in volta espressioni gioiose o disgustate.

Accanto alla descrizione principale di ogni gioco, ognuno poteva fornire la sua impressione personale in appositi box di commento, per poi concludere con una pagella descrittiva. Caratteristiche come Presentazione, Grafica, Sonoro, Appetibilità e Longevità sono entrate dunque nella storia, per arrivare poi al fantomatico Globale, che aveva l'ingrato compito di riassumere il giudizio complessivo e dava spesso adito a grandi discussioni nelle pagine della posta.

In un periodo in cui internet, l'email e i forum erano solo illusioni, la posta scritta dai lettori aveva una grandissima importanza e quella di Zzap! non fece eccezione, andando a creare quasi una rivista dentro la rivista, con i suoi protagonisti, le sue vicende, le sue polemiche. Personaggi come Spadini e FFS rimangono ancora nel cuore di molti, per non parlare del filosofo MBF che poi riuscì a fare il gran salto, passando da semplice lettore a redattore vero e proprio.

Non mancavano neanche le annose discussioni sulla pirateria, e in questo senso Zzap! fu un esperimento coraggioso con le sue campagne a favore del software originale: è bene ricordare che nella seconda metà degli anni '80 il mercato dei giochi in Italia era letteralmente dominato dalle riviste da edicola "con cassetta allegata". Complice la mancanza di una legislazione a riguardo, allora era legale vendere giochi copiati editando un po' la grafica ed i titoli arrivando a curiose perversioni che adesso fanno sorridere, quando trovavi sul nastro un Bolle Bolle al posto di Bobble Bobble.

Accanto a questo, diverse pagine ogni mese erano dedicate alle soluzioni e ai trucchi per ottenere le agognate vite infinite, con vagonate di istruzioni poke da digitare e che presto vanificarono la rubrica del "signore dei punteggi" dedicata ai record, dato che non si poteva più stabilire se uno avesse imbrogliato o no ad un certo gioco.

Come dimenticarsi poi dei meravigliosi diari dei programmatori, in cui eroi solitari come Jeff Minter o Martin Walker ti ipnotizzavano parlavando di multiplexing e trucchi hardware? Delle meravigliose copertine di Oliver Frey che da sole invogliavano a un acquisto compulsivo?

Zzap! è stata un avventura meravigliosa sia per i redattori che per i lettori, e chi non l'ha vissuta si è perso un pezzo di storia ormai irripetibile: non era semplicemente una rivista, ma un modo d'essere e di riconoscersi in una passione comune, il luogo attorno al quale radunarsi durante la ricreazione con gli amici per i commenti del giorno, un catalogo di meraviglie, un sogno che rivive ancora oggi nel ricordo.

Non mi resta che concludere questo articolo ringraziando pubblicamente Bonaventura di Bello (direttore esecutivo) e Fabio Rossi (capo redattore) per la loro presenza su queste pagine.


BONAVENTURA DI BELLO

Non è facile per me dire in poche righe cos'è stato Zzap! anche perché ne ho vissuto l'esperienza in un periodo della mia vita che era ormai lontano dalla spensieratezza dell'adolescenza: avevo superato abbondantemente i vent'anni ed ero sposato da qualche anno, e in più mi ero trasferito a Milano da un paesino della Campania.

Posso però dire che ha rappresentato in larga parte soltanto esperienze positive: la crescita professionale nel ruolo di direttore esecutivo (e "one man band" nei primi mesi, ovvero prima che cominciassi a reclutare i redattori); la stima e il sostegno di due magnifiche persone come Roberto Ferri e Ferdinando Monti, che gestivano la casa editrice e che mi hanno dato più di un'opportunità tanto prima quanto in seguito; l'entusiasmo e la voglia di imparare, scoprire e crescere di (allora) giovanissimi come Fabio Rossi, Marco Auletta, Stefano Giorgi e tutti gli altri che comunque non ho dimenticato e mi piacerebbe incontrare di nuovo, prima o poi, per scoprire com'è andata la loro vita e dirgli che li porto ancora nel cuore; l'essermi ritrovato nel pieno del fenomeno videoludico fino al passaggio dagli otto ai sedici bit, potendone cogliere tanto l'aspetto giocoso quanto quello di trend mediatico e commerciale; l'incontro con l'editoria 'vera' e con i suoi strumenti, dal Macintosh al laboratorio del fotolitista, un bagaglio di esperienza che negli anni mi ha offerto sempre nuove opportunità professionali.

Un periodo della mia vita intenso, quindi, sotto ogni punto di vista, al quale non posso che guardare sorridendo e asciugandomi l'inevitabile lacrima di nostalgia e affetto per tutto quanto e tutti coloro che l'hanno arricchito in maniera incommensurabile.



FABIO ROSSI

Zzap! è stata sotto tutti gli aspetti una grande avventura. Non solo ci trovavamo in prima linea all'avanguardia del fenomeno dei videogiochi, che oggi fa parte della quotidianità di chiunque ma allora era ancora una stranezza per impallinati; Non solo ci trovavamo in un periodo e in una situazione che permettevano di realizzare una rivista "punk", dove si navigava a vista ignorando ogni convenzione e creandone di nuove... ma è anche stato il mio battesimo come giornalista "vero", da cui è dipesa buona parte della mia vita.

Quel che ci mancava in Grafica e Sonoro (dio mio, ci credereste che lavoravamo con i cut-up di Battiato in sottofondo?) lo compensavamo in pieno con Longevità (piaccia o no, tante riviste di videogiochi seguono ancora lo stile che inventammo all'epoca) e Giocabilità - anche se il lavoro era massacrante, passare giorni e notti in redazione era un divertimento impareggiabile.

Ormai a 38 anni sono tecnicamente un vecchio bacucco incarognito e nostalgico, però quegli anni per me restano senza pari proprio per la vitalità che avevamo non solo noi, ma l'intera pionieristica industria dei videogame. I giochi uscivano senza preavviso, con concetti imprevedibili (chi si ricorda Space Seed? E le assurdità di Jeff Minter?) in cui oggi non si avventurano neanche più i casual game, lanciando tecnologie innovative che oggi diamo per assodate e veri personaggi da film tipo lo spiritato Fasoulas, Garriott in perenne crisi mistica, il filosofico Crawford o - dimmi niente - un vulcano come BDB, capaci di intuizioni geniali.

Temo che visto dal XXI secolo Zzap! non faccia la stessa impressione, un po' come Elvis Presley che oggi fa solo sorridere. Però noi facevamo rock 'n' roll, ragazzi - e non sapete quanto ci dispiace vedere il vostro minimalismo.


NOTA: l'articolo è stato pubblicato originariamente sul n.3 di Gamers, edizioni Hobbymedia. I diritti sul testo appartengono esclusivamente al sottoscritto, per cui qualunque uso è soggetto alla licenza Creative Commons riportata in calce al blog.

NOTA: Una versione di questo articolo su Zzap! è stata pubblicata sul n. 3 del magazine di Retroedicola Videoludica, a cura di Mauro Corbetta, leggibile qui (via registrazione gratuita).

Parte 3: K


Editore: Glénat Italia/R.C.S.


Negli articoli precedenti abbiamo già parlato dello Studio Vit in diverse occasioni. Con K ci troviamo di fronte alla terza incarnazione dell'idea di editoria videoludica secondo Albini, Rossetti e soci: partendo sempre da un format già esistente di matrice anglosassone, così da avere una base informativa di recensioni e preview, lo si adatta alle esigenze e alle richieste del pubblico italiano, arricchendo il tutto con contenuti originali.

Nel caso in oggetto la fonte primaria era la rivista inglese ACE del colosso inglese Future e, come da prassi, il divario tra articoli tradotti e scritti italiani andò assottigliandosi nel corso degli anni, fino a rendere K una rivista al 99% "made in italy".

Anche su K il modello strutturale e le rubriche seguono lo standard de facto per questo genere di pubblicazioni, con l'alternanza di anteprime e recensioni (definite stavolta "prove su schermo") senza rinunciare agli immancabili appuntamenti fissi, come la sezione dedicata a trucchi e soluzioni e la rubrica della posta, il K-Box.

La differenza rispetto alle esperienze precedenti, che si nota in nuce sin dai primi numeri ma che diviene poi evidente con il passare dei mesi, è una tendenza all'approfondimento critico rivolto non solo alla recensione del singolo gioco, ma anche all'analisi di temi e generi intesi in senso globale, riconoscendo per la prima volta a questo media qualcosa di più interessante e profondo del semplice intrattenimento. In questo senso è possibile affermare che K fu la prima rivista del settore ad affrontare in modo adulto gli stessi temi dei concorrenti, nella sostanza ma anche nella forma, rinunciando spesso ai colori sgargianti e ai fondini psichedelici in voga in quel periodo in favore di un'impaginazione sobria su fondo bianco.

È bene ricordare che gli anni d'oro di K (1989-1994) furono un periodo di grandi rivoluzioni per quanto riguarda l'hardware: alla fine degli anni '80 terminava lo strapotere degli 8-bit e del Commodore 64 in particolare, in favore dei più potenti Atari ST e Amiga. La discesa in campo di Sega e Nintendo con le loro corazzate Megadrive e Super NES fece da contraltare al definivo affermarsi del Personal Computer come seria alternativa di gioco, grazie alla scoperta della sua vocazione multimediale: essa aveva tra i principali attori le prime schede VGA e il sonoro fornito dalle Adlib e dalle Soundblaster, che diventarono i sogni proibiti di molti.

In tutto questo vortice di nuove macchine e interrogativi K si mosse dilatando spazi e tempi delle recensioni e rendendo il K-Box quasi una palestra di discussioni filosofiche sull'argomento, grazie soprattutto alle gestioni MBF e Toniutti di questo angolo.

Ben presto l'argomento console venne bandito dalla rivista tastando dapprima il mercato con due speciali a tema, che preparavano il terreno all'uscita del nuovo mensile complementare Game Power, opposto non solo per temi ma anche per l'atteggiamento, tanto pacato e "pulito" quello di K, quanto demenziale e allegramente fuori di testa quello di Game Power. Si andava così a delineare anche quel primo distacco tra due tipi di pubblico, quello "hardcore" e quello "casual", molto prima che le categorie venissero definite in modo esplicito.

L'unico limite che è possibile individuare in tutto questo è appunto la scarsa immediatezza di alcuni testi e la sensazione di volersi prendere troppo sul serio, sensazione che può suonare strana se si pensa che l'argomento principe di discussione deve restare comunque l'intrattenimento. Questo tipo di riflessioni può essere verificato anche confrontando K con altre realtà editoriali del periodo, ad esempio la "folle" C+VG gestita da Fabio Rossi della quale avremo occasione di parlare in seguito, oppure la The Games Machine di allora, che faceva leva soprattutto sullo scanzonato spirito redazionale.

Nei suoi 67 numeri K è stata anche una palestra per molti nuovi redattori, tra cui si nota immediatamente il nucleo di persone (Minini Saldini, Paglianti, Beretta e altri) che darà poi vita in anni più recenti al salto di qualità di GMC, fino a renderla una delle riviste di riferimento dell'attuale mondo PC.

Un viaggio che è partito nel lontano 1988 con il numero 1 di dicembre e che personalmente tendo a considerare concluso con la fine del 1994, quando uno sghignazzante e inquietante Malcolm di Kyrandia 3 mostrava l'ultimo editoriale di Albini, con l'annuncio del passaggio della gestione alla Edi. Progress di Zinsenheim. Mentre lo Studio Vit si lanciò nella nuova avventura editoriale di ZETA, la rivista K andò avanti ancora per molti anni, fino all'ultima incarnazione "K PC GAMES" con tanto di gioco allegato su CD, che arrivò a passare il traguardo del XXI secolo.

Commenti

  1. Risposte
    1. Ho sempre pensato fosse un riferimento ai "kappa" (cioè kilo) bytes, ma ovviamente andrebbe chiesto a Riccardo Albini.

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