Come nasce un videogioco (1984)

L'articolo qui presentato fa parte dell'Archivio Storico di Quattro Bit ed è tratto dalla rivista Videogiochi n. 13 (marzo 1984) pp. 44-49, fonte: Retro-gaming

COME NASCE UN VIDEOGIOCO

"Dietro ad ogni videogioco lavora un'equipe di cento persone", dice in questa intervista Condon Brown, direttore del Software Development all'Atari.

Fino a poco tempo fa i designer di videogiochi erano assolutamente inavvicinabili. Le società per cui lavoravano ne erano gelosissimi e spesso non ne dicevano neanche il nome. A poco a poco, man mano che diventavano dei 'personaggi', sono usciti dall'ombra e noi stessi di VIDEOGIOCHI ne abbiamo intervistati più d'uno. Abbiamo così sentito il loro punto di vista su cosa vuol dire fare un videogioco, come nasce l'idea, come mai a uno gli viene in mente di fare il game designer, e così via.

Questa volta abbiamo invece intervistato la persona che sovraintende e coordina il lavoro dei designer. É Condon Brown, prima designer lui stesso e ora direttore del Software Development della Atari, la divisione che si occupa della produzione di tutto il software Atari, da quello per il VCS a quello per i computer e i coin-op. L'abbiamo conosciuto a Monaco di Baviera in occasione del Campionato Mondiale di Centipede e abbiamo fatto una lunga chiacchierata su come nasce un videogioco, più in generale sul processo produttivo che sta dietro alla creazione di un gioco e coordina l'inventiva dei designer.

Abbiamo così scoperto che dietro al misterioso designer c'è tutto uno staff di appoggio che aiuta, controlla, prova i giochi, li recensisce, sonda il mercato, ecc. ecc. Non tutto quindi è affidato alla pura creatività e estro del programmatore! Anzi in casa Atari qualche volta fanno, come gli impiegati, quello che gli si dice.

L'INTERVISTA

Vuoi dirci brevemente qual'è la strada che deve percorrere un videogioco dal momento dell'idea iniziale a quello della cartuccia che entra in distribuzione?

Bisogna fare una precisazione iniziale. Il nostro software si divide in tre diverse categorie:

  1. i videogiochi da bar, per i quali Atari è molto famosa.
  2. i LIC (Licensed International Character) cioè quei giochi che si ispirano a personaggi già esistenti, ad esempio, dei fumetti, o dei cartoni animati (tipo Asterix) e anche quei giochi che sono la versione home dei giochi da bar.
  3. poi per ultimo, anche se naturalmente non per importanza, ci sono gli original games, quei giochi che sono una creazione originale dei designer.

Dietro a ogni videogioco lavora un equipe di cento persone. Naturalmente non sono tutti programmatori: è lo staff di supporto tipo i 'tester', gli 'announcer people', le persone del marketing e quelle dell'amministrazione. Le varie tappe che un gioco per il VCS deve attraversare prima di arrivare nei negozi sono, più o meno, le seguenti:

  1. Il Concept: è la fase dell'idea pura e semplice. In un certo senso è la fase più semplice perché c'è poco da fare: o l'idea c'è o non c'è. Non puoi tanto lavorare sulla creazione. Sei seduto lì (o meglio il designer è seduto lì davanti alla tastiera, ndr) e ti viene un'idea vuoi di una trasposizione vuoi di un gioco di pura fantasia. Questo è proprio il primo passo.
  2. Il Design: è la fase in cui si studia la grafica, il tipo dei personaggi, i colori e l'ambientazione da dare al gioco. È a partire da questa fase che si inizia a prendere in considerazione il target a cui si rivolgerà il gioco. Perché se per esempio pensiamo che sia un gioco adatto per un ragazzo tra i 16 e i 17 anni (che secondo i nostri studi è il target medio dei giochi Atari) allora ci saranno astronavi, esplosioni, colori forti, si sceglieranno cioè quegli elementi che sottolineano di più l'azione e l'abilità. Se invece è un gioco che pensiamo si rivolga più alle donne allora i personaggi saranno più simpatici, i colori più delicati.
  3. Program: questa è la fase più difficile, quella in cui il programmatore scrive il programma, cioè traduce in linguaggio comprensibile alla macchina le istruzioni necessarie a realizzare ciò che ha pensato nelle fasi A e B. In genere ci vogliono dai 4 ai 6 mesi, ma alle volte anche più di un anno. In questa fase il programmatore può essere affiancato da altri programmatori che lo aiutano a risolvere alcuni particolari problemi di programmazione, tipo certe soluzioni grafiche o sonore. Non tutti i programmatori infatti sono artisti o musicisti.
  4. Debug: significa eliminazione dei difetti del programma. Un gruppo speciale di persone che si chiamano "announces" giocano il gioco per due o tre settimane per controllare che funzioni come dovrebbe e che i punti corrispondano. In questa fase, che si situa quando il programma è quasi terminato, il gioco viene anche analizzato. Gli announces riportano continuamente al gruppo di programmatori la loro opinione, i loro consigli: se i comandi funzionano bene, se il gioco è troppo difficile o troppo lento o troppo confuso. Noi vogliamo un gioco infatti che sia facile da imparare e difficile da vincere. Tutte queste opinioni sono molto importanti in questa fase perché permetteranno ai programmatori di risolvere i "software bug" che altrimenti, per averci lavorato sopra ora, giorni e mesi, sarebbero difficili da individuare con obiettività.
  5. Public Test: è la fase cruciale, è qui che chiediamo al pubblico se abbiamo fatto o no un buon lavoro, se abbiamo o no avuto successo. Diamo il gioco da provare nelle case così che persone diverse e di età diversa lo giochino e diano il loro parere ai programmatori su cosa va e cosa non va, e cosa si potrebbe fare per migliorarlo. Se dai pareri ricevuti ci rendiamo conto che il gioco non va, allora ne fermiamo la produzione (come per esempio è successo con Tempest, di cui non siamo riusciti a realizzare la versione domestica). Il public test è solo qualitativo, cioè quello che chiediamo al gruppo esterno di persone è una risposta sulla qualità di un gioco.
  6. Review: in questa fase il gioco viene analizzato dai responsabili del marketing e delle vendite. Al termine bisogna decidere: o si ferma tutto o si torna indietro e si studiano delle altre soluzioni.
  7. Play Test: in questa fase cerchiamo invece delle indicazioni quantitative: è piaciuto il gioco? Quanto? A quanti può piacere? Se è piaciuto quanto sarebbero disposti a pagare per una cartuccia: 30 $, 100 $ o niente del tutto? Una volta ottenute queste indicazioni si pone ancora il problema di scegliere: tornare a lavorarci sopra perché non si è colpito bene il target previsto, o mollare il progetto oppure proseguire verso la…
  8. Manufactory & Distribution: cioè la produzione e distribuzione del prodotto.
  9. Ma c'è ancora un ultima fase, il Sales Debug: anche da questa fase vediamo se abbiamo o no avuto successo. Dato che siamo un'industria vogliamo guadagnare: se un gioco non vende vuol dire che qualcosa non ha funzionato.

Utilizzate anche voi le solite categorie di definizione di un gioco (spaziale, avventura, ecc.) e se sì in che momento del processo sopra descritto entrano in gioco?

Siamo soliti dividere i giochi in sei categorie che ci servono al fine di meglio individuare il target finale. Queste sei sono: Space Game (cioè quelli spaziali - tipo Defender); Children Game (giochi per bambini); Military Game (di guerra - tipo Combat o Battle Zone); Maze Game (labirinto - tipo Dig Dug o Pac-Man); Adventure (avventura - tipo Raiders of the Lost Ark) e per ultima Sport & Race (cioè i giochi di guida e sport).

Appena formulata l'idea di un nuovo gioco si cerca subito di vedere a quale categoria appartiene per vedere quali sono le caratteristiche di design più appropriate.

Dicevi prima che il programmatore può essere affiancato da qualcun altro?

Sì, qualche volta il designer viene affiancato da una persona che non c'entra niente con la programmazione ma che in compenso conosce molto bene il soggetto da trattare. Questo vale soprattutto per i giochi che si ispirano a personaggi di fumetti, come Asterix o Topolino. In questo caso è molto importante l'aiuto esterno sia per quanto riguarda la definizione della grafica che per lo svolgimento della storia-gioco.

E il passaggio da un videogioco da bar a uno da casa chi lo fa?

La trasposizione bar/casa è un progetto molto interessante. il programma per un coin-op è un programma molto grosso perché non c'è nessuna limitazione di memoria: i programmatori possono utilizzare tutta la ROM che vogliono senza nessuna costrizione come invece avviene nel VCS. Quindi quando facciamo una conversione non è questione di riscrivere i codici, ma di riscrivere completamente il programma. E molto spesso non sono gli stessi progrmmatori che lo fanno perché ogni designer ama fare una cosa o l'altra.

Qual'è la differenza per i produttori di software tra un videogioco da bar e uno da casa? Quali idee di base sono diverse?

Nel VCS non vogliamo che la gente ci metta dentro una moneta: vogliamo solamente che si diverta a giocare. In un videogioco a gettone vogliamo invece che il gioco sia abbastanza accattivante perché uno ci metta dentro una moneta. Nella progettazione di un videogioco da bar il criterio su cui ci si muove è che, sì, tu perderai ma potresti fare meglio se solo mettessi un'altra moneta. Quello che invece cerchiamo di raggiungere con un gioco per il VCS è quello del piacere di giocare e di continuare a giocare.

In entrambi i casi siamo molto attenti alla grafica, ai suoni e alla giocabilità di un gioco ma è il modo in cui queste cose vengono unite, relazionate tra loro che fa di un gioco un bel gioco: quello che conta è l'esperienza totale ch un gioco dà al giocatore. È qui che si può parlare d'arte. Non c'è nessun altro lavoro che unisca così l'arte alla scienza ed è qualcosa di cui non so dare una spiegazione. È per questo che facciamo i vari test a un gioco, perché non c'è nessun altro modo di sapere se piacerà o no. Se parli con cinque designer avrai cinque diverse filosofie del design e sono tutte giuste. Il problema è quale si adatta meglio a quel particolare gioco.

I designer sono sempre liberi di decidere su quale gioco lavorare?

Ci sono dei giochi in effetti per cui i designer vengono, in qualche modo, costretti: dai tempi di uscita, dal fatto che è una conversione, oppure perché vogliamo far uscire un certo gioco prima che ci pensi qualcun altro. Ci sono invece degli altri giochi che hanno i tempi dati dai designer stessi e noi lasciamo loro questa libertà, perché reputiamo che quello a cui stanno lavorando potrà diventare un bel gioco.

Quando perdeste i game designer che fondarono l'Activision fu più difficile trovare dei buoni programmatori o qualcuno con buone idee?

I designer che lasciarono Atari erano degli ottimi programmatori e direi proprio che la cosa più difficile fu quella di trovarne altri alla stessa altezza. Avere delle idee non è poi così difficile, ma trovare qualcuno veramente competente nella programmazione in assembler lo è, perché quella di un gioco è un tipo molto particolare e difficile di programmazione e non tutti la sanno fare veramente bene.

Prima dicevi che può succedere che di un gioco venga interrotta la programmazione. Allora quanti giochi di quelli pensati e iniziati arrivano poi al mercato?

Prima ne arrivavano circa 1 su 5, ora invece siamo migliorati e ne arrivano 1 su 3, soprattutto perché siamo molto più esperti e abbiamo raffinato tutto il processo di programmazione. All'inizio i designer erano molto più liberi di adesso nei tempi e nei modi di lavorare, e siccome è un lavoro creativo più di tanto non si può irrigimentare: allora raffinando l'intero processo abbiamo migliorato a nostro vantaggio il rapporto gioco-pensato/gioco-prodotto.

A che punto del processo sopra descritto sapete che un certo gioco avrà successo?

La prima cosa che mi verrebbe da dire è: quando iniziamo a vedere i soldi, ma naturalmente se ci basassimo solo su questo, sarebbe quasi sempre un disastro. Per questo svolgiamo dei test. Come ho già detto ci sono i debug, il public test e il play test; ognuno di questi test dà come risultato una specie di voto, a seconda del voto possiamo farci un'idea sul successo o meno del gioco (salvo restando naturalmente la possibilità di sbagliare).

È a partire da questo numero che decidiamo quanto spingere un gioco, quanto promuoverlo o quanto investire in pubblicità. Se per esempio per un original il numero che viene fuori è 6/9 (che è molto alto) allora lo spingiamo e lo promuoviamo. Per un gioco adattato o per un licensed il discorso è molto più facile. Per esempio un gioco come ET si basa anche sul fatto che molti hanno visto il film, molti sanno chi è il personaggio e in un certo senso questo aiuta.

Questo fatto del conoscere il personaggio, si riallaccia a un problema più generale legato al cosiddetto 'word of mouth', cioè alle cose che passano di bocca in bocca. Ricerche recenti, svolte lo scorso anno, hanno dimostrato che quello che fa maggior pubblicità a un gioco è il fatto che i ragazzi fra di loro si dicono e si raccontano le cose. "Hai visto l'ultimo gioco? Guarda questa cartuccia è fantastica!" È da frasi come queste, da ciò che i ragazzi si raccontano quando comprano un gioco che nasce la sua vera reputazione. È per questo che è molto importante il giudizio del pubblico che noi riceviamo attraverso i play test, perché se un gioco non piace puoi anche spenderci milioni di pubblicità e non serviranno assolutamente a niente, se non a buttare via i soldi.

Parlavi prima a proposito della Raze di Design, di Target maschile e Target femminile. Non pensi che in generale i vostri giochi siano improntati soprattutto a una logica maschile di competizione?

Non lo so. Forse questo discorso era valido fino a qualche anno fa, quando i nostri giochi erano essenzialmente giochi spaziali che erano giocati principalmente da ragazzi. Ma da quello che risulta da ricerche molto recenti, ora le donne giocano molto di più di prima e alle volte anche più degli uomini. Circa un anno e mezzo fa abbiamo studiato un gruppo di Sunnyvale: guardavo una ragazza giocare un gioco che stavamo provando e ad un certo punto dice: "ma non si può uccidere niente! Voglio uccidere qualcosa!" Rimasi molto sorpreso e pensai che fosse giunto il momento di rivedere quali erano i nostri criteri di progettazione per un gioco che piacesse alle donne.

Anche perché non penso che la competizione sia solo un concetto maschile. Puoi competere col tuo risultato precedente, è una competizione con te stesso per fare sempre meglio. Joust per esempio è un gioco in cui devi cooperare col tuo compagno, giochi insieme a lui. Credo che sempre più svilupperemo dei giochi in questa direzione, perché è molto interessante; ma nonostante questo la competizione c'è sempre: se non altro nel riuscire dove prima non sei riuscito.

Cosa ne pensi dei giochi educativi? So che l'Atari ne ha già pronti alcuni, continuerete a farli?

Certo, continueremo a farli. Ma in un certo senso ogni gioco, in quanto necessità di una abilità particolare per essere risolto, insegna qualche cosa; insegna per lo meno quella capacità che può essere di coordinamento oculo/motorio o di deduzione logica oppure ancora capacità di riconoscere certe forme.

Quando per risolvere Pac-Man devi imparare un "pattern", devi anche sviluppare la memoria per poi ricordartelo ogni volta. È vero però che stiamo studiando dei giochi educativi che insegnino certi particolari concetti e non è facile: devi comunque avere qualcuno che ha e sa insegnare qualcosa.

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